C'è un silenzio che descriverti non saprei
per chi ancora non lo sapesse, il paese dove vivo, il posto dove vado a rifugiarmi dopo tutto il frastuono, nelle mie ore più scure, è rotondo. Rotondo nel bene e nel male vi diranno quelli che come me vivono qui, niente esce e niente entra da qui. Io ne sono uscito anni fa, incoerente e con nessun senso di appartenenza, scelgo io dove e come sentirmi a casa. E poi però c'è qualcosa che mi lega a questo strano posto. Una ormai vecchia e consumata abitudine. Io e l'amico di sempre in tutte queste sere. C'è questo paese che entri e inizi a camminare. e alla fine ti ritrovi al punto di partenza. E allora viene facile in queste sere trovarsi chiamarsi e cercarsi e dirsi, andiamo a fare due passi, e sono queste brevi camminate serali dove si parla di cose serie e di cazzate ad essere il mio strano senso di appartenenza a questo luogo. Ora l'amico è lontano, ma tranquilli, torna presto, e allora stasera, serata strana serata sbagliata, i miei due passi sono andato a gustarmeli da solo. E c'erano questi vicoli queste luci gialle e queste mura strette io e il rumore dei miei passi. E c'era qualcosa a cui pensare e per cui maledirsi una volta ancora una volta di più. Gli errori si fanno, e si scontano. Si scontano nel silenzio mio e degli altri. Nelle domande che cadono nel vuoto. Quei rari momenti in cui non rispondo di me, perché sì, ho imparato ad essere controllato e programmato in tutte le mie piccole cose, ma poi arriva sempre il momento in cui non ce la faccio più e quella parte di me spinta e ricacciata nel profondo emerge improvvisa e ridivento l'incosciente pazzoide che forse sotto sotto vorrei essere. Ho imparato a vivere e meritarmi le conseguenze delle mie azioni e forse è questa una delle mie più grandi conquiste, però poi ci sono questi momenti in cui veramente vorresti tornare indietro con quel rumore cinematografico di nastro che si riavvolge e no, non farlo mai più. Faccio anche stasera la conta delle mie malattie e ne sostengo il peso, e la mia schiena si piega e mi prende quella voglia di scaraventarmi nel letto e affogarmici dentro. La difficoltà della resa e del mio campare decentemente, con uno stranamente Paolo Conte che non so perché ma vado a ripescare in queste giornate indistinte composte tra l'attesa due parole e una clamorosa cazzata. Sto lentamente sprofondando e cerco un barlume e un appiglio per non andarmene a letto triste come ne sono emerso stamani, e sì, era meglio che me ne rimanessi a letto. Se mi guardo bene dentro mi accorgo di essere fatto dalla mia memoria e dalle mie parole, mi porto dentro tutte queste immagini in un infinito collage, e parole scelte con pazienza e dedizione. E mi accorgo che anche dentro di me si entra, si inizia a camminare e alla fine ci si ritrova al punto di partenza, che anche da me, nel bene e nel male, niente entra e niente esce. Che dentro di me c'è un silenzio che descriverti non saprei.