Potrei, parola che è un po' la mamma di questo blog.
E io testadicazzo ne sono il figlio malconcio e maldestro.
Potrei, dicevo, adesso essere sincero. Essere me, una volta tanto, svelarmi tra le mie parole anziché usarle come facile schermo. Sulla solita notte di bagordi di ritorno in una splendida alba ho pensato che ero felice, felice perché ti ho trovato, nonostante che tu stasera non ci fossi. Mi spiace. Non poco.
Dovrei, pensavo, essere preoccupato perché tra poche ore dovrò di fronte al mondo far finta di nulla, sostenere il mio ruolo in questo tremendo equivoco dove sembra che mi importi qualcosa di tutto il resto.
Sono quasi le sei, ancora due ore, poi saranno il caffè e la mia musica a farmi compagnia per una lunga giornata. Prima che tu possa pensare qualcosa di diverso. Sarai soprattutto tu a farmi compagnia. La mia musica mi esploderà nel cervello per tenermi sveglio e per tenermi te accanto. Se ti fa paura tutto questo, bene. Fa una tremenda paura anche a me. Volute azzurrognole di fumo confondono il tuo nome che qui non c'è, perché un nome può tradire, nel mio impaccio di turista di te.
Sincero, dicevo, ho provato a cancellarti ma è stato più forte di me. Pietre che scorrono. Lunghe inquadrature acquitrinose. Ovunque oggi ho rivisto te. Mosse attente non ne ho più e anche se le avessi non ne vorrei fare più. Mi piacerebbe una risposta. La temo questa maledetta risposta.
Un casino d'inferno, quaggiù, dove cantiamo le lodi del peccato e del nostro non essere affatto perfetti. Non mi abituo ai mezzi miracoli, figuriamoci a quelli interi. E non me ne frega niente di tutto il resto, però importa a te.
La mia macchina del caffè non fa il tuo rumore, soffia e sbuffa da ogni parte, il suo sguardo cromato su tutte le mie mattine degli ultimi vent'anni, tra poco la ritroverò lì ad aspettarmi vecchia e distrattra e anche lei mi riporterà quel tuo strano gesto e quel tuo meraviglioso modo di essere.
Buonanotte buongiorno e quello che è.