pigia quel tasto che fuori ci sono le stelle

no ma, dico io, tutta sta roba dovrebbe avere un senso? pigia quel tasto va, metti un po' di musica almeno magari mi distraggo. Gironzoli per casa e non ti accorgi di niente. Entri nelle stanze, ti affacci soltanto un momento. Ti volti mi guardi, un sorriso sornione. Cos'è che hai visto, cos'è che hai capito. Io, per conto mio, non ci ho capito niente. E mi dico, è normale, non sono mai stato bravo con queste cose. Mi perdo talmente tanto dietro ai miei strani ghirigori che ti tocca svegliarmi con un OH! urlato quasi in faccia. A quel punto in genere sono io che sorrido. E mi chiedi a che penso. Io? io non penso a niente, rispondo sempre. Il mio sguardo si perde nel vuoto e non penso a niente. Oddio, in genere a qualcosa penso, sia chiaro mica sempre, però ogni tanto capita, e rimango lì imbambolato per un po', poi arrivano l'OH! e il mio sorriso, tra l'imbarazzato e lo stupito. E mi chiedi ancora a cosa penso, dov'è che vado, ma non so dirtelo, non ne sono capace. In quei momenti raccolgo immagini, riappiccico insieme i fotogrammi del tempo trascorso, mi costruisco i miei film. Uno strano lavoro di catalogazione e di montaggio, un archivio sterminato e una moviola, di quelle che si usavano una volta, prima dell'era digitale. Una strana raccolta di immagini e parole e di tutto il resto, di quelle cose che quando tenti di descriverle si complicano, e dire che mi sembravano così facili. Ma vaglielo a spiegare ad un dizionario che lui la parola per quello che sentono le mie mani non ce l'ha. Vaglielo a dire a qualcuno che quell'odore di legno che una volta ho sentito a Londra in un negozio a Camden Town m'è capitato di sentirlo ancora e non ho capito da dove venisse. Devi inventarne di nuove di parole per parlare di roba così. Ma io non sono mica capace di inventarmi parole nuove. Io faccio i collage. Io uso le parole degli altri. Le smonto tutte, e le rimonto come piacciono a me, ma niente di nuovo sotto il sole, è tutta roba rigorosamente di seconda mano. Ecco a cos'è che penso quando mi capita di fermarmi, di non sentirti, di non vederti.

E ieri sera c'era questa luna, tutta di traverso, talmente sottile che sembrava uno di quei sorrisi che fai sulle facce degli altri quando per farli sorridere gli prendi la bocca con le dita e gliela tiri all'insù. E sopra c'era Venere e ci doveva essere una festa a giudicare dalla luce che faceva. E insomma, c'era Venere, ed era seduta sulla Luna. Bella donna, con le gambe penzoloni. Io la guardavo e lei mi guardava. Gironzolava per casa e si affacciava nelle stanze. Ma non so cos'ha visto, non so che c'ha capito.