"...quello che mi chiedo, a volte, e adesso è proprio una di quelle volte, è cosa cazzo ci faccio ancora qui."
Mi guardasti stupita. Come se tu non l'avessi capito da un pezzo che razza di merda io fossi. Lo sapevi, e nonostante questo avevi avuto l'incoscienza di credere che avresti potuto cambiarmi.
"...quello che mi sconvolge, a volte, e adesso è proprio una di quelle volte, è che le donne del terzo millennio non abbiano ancora capito che gli uomini non cambiano."
Credevi di potermi redimere, credevi che lavorandoci avresti potuto farmi tornare sulla retta via, farmi abbandonare questa mia vita fatta di vizio, di colossali sbronze, di scopate nei cessi dei peggiori locali della città, di feroci risvegli alle tre del pomeriggio.
"...quello che credo, adesso, è che tu non volessi affatto cambiarmi. Anzi, il mio essere ciarpame, il mio essere una merda, era la sola cosa che ti attirava. Se io fossi davvero cambiato, se come mi hai detto un milione di volte avessi tirato fuori il diamante nascosto dentro di me, adesso saresti tu quella annoiata, quella che si chiede cosa cazzo ci sta facendo ancora qui, saresti tu a farmi il discorso che ti sto facendo io".
Ecco cosa avresti voluto: salvarmi per poi poter dire di averlo fatto, per raccontare di come mi avevi tirato fuori dall'alcolismo e da tutte le altre schifezze della mia vita. Mi ricordo ancora di quando mi arrivasti in casa tutta contenta con quella stronzissima camicia e mi dicesti che mi avevi fissato un colloquio di lavoro. Al colloquio ci andai, sì, con una delle solite magliette e con una delle mie migliori sbronze. La camicia è ancora appesa nell'armadio, se fossi stato un po' meno stronzo avrei potuto regalarla ai poveri.
"...quello che dovresti fare, subito, è infilare in uno scatolone tutte le tue cianfrusaglie e togliere il disturbo. A proposito, riprenditi anche la camicia. A me non serve. Regalala ai poveri."