e pensare che non ti piaceva De Andrè

ma che fai mi leggi nel pensiero? mi avevi detto. No, semplicemente parlo di me. Ti avevo risposto. Eppure sei capace di dire le cose nel momento esatto in cui io le sto pensando...

Ma non era così. Era soltanto il nostro modo, molto simile, di vedere le parole. Una sorta di intelligenza astratta, fatta di immagini e colori più che di suoni e significati.

Ci univa la passione smodata per la lettura e per l'arte.

E ci univano quei tuoi occhi scuri. I miei li avevi definiti furbi, mi era sembrato esagerato, a dire la verità. Piccoli e sfuggenti, ti avevo risposto, mentre lo sguardo mi cadeva ancora sul tuo seno, e tu: sorridevi.

Che poi, discutevamo per ore. Mai d'accordo su nulla, anzi, eravamo capaci di incazzarci sui nostri punti di vista stranamente simili e irriducibilmente inconciliabili e andare avanti a discutere, a ripeterci, fino a stancarci, i nostri reciproci torti. Ne uscivamo quasi convinti delle posizioni dell'altro ma mai, mai, disposti ad ammetterlo.

Testoni, testardi, orgogliosi.

Non ti eri accorta, quella sera, che m'eri sembrata uno strano riassunto di tutte le donne della mia vita. E nemmeno io. Soltanto quando mi misi a scrivere, giorni dopo, me ne accorsi. Parlavo di te e parlavo di tutte.

C'eravamo trovati come per caso e come per caso ci perdemmo, senza mai esserci avvicinati abbastanza, senza esserci mai nemmeno sfiorati.