"Lo spirito umano è un fenomeno collettivo, non può venir compreso come cosa individuale."
Ecco, tutto qui. Lo ha detto, o scritto, di preciso non lo so, Konrad Lorenz, quello che si svegliava la mattina e aveva come primo obiettivo il farsi rincorrere dalle paperelle. Quale soddisfazione ci provasse non l'ho mai ben capito, ma se alla fine gli hanno dato anche il Nobel per la medicina un buon motivo qualcuno deve averglielo trovato.
Insomma, questa frase, detta da un etologo per giunta. C'ho pensato un bel po' e una delle idee che mi son venute è che tentare un'analisi psicologica delle persone può essere un esercizio interessante ma non permette di comprendere la vera natura degli essere umani. Questo forse perché ognuno di noi è un fenomeno talmente unico e complesso che analizzarlo dall'esterno con come unica arma la nostra capacità analitica non ci consente di capirlo realmente. La complessità dello strumento che indaga deve essere in qualche modo superiore all'oggetto dell'indagine, altrimenti la descrizione che ne deriva è per forza di cose incompleta. Non si può comprendere un'altra persona, perché siamo persone anche noi.
Ma allora cos'è che si può tentare di capire? La prima risposta che m'è venuta in mente è stata: niente. (punto). Perché anche noi siamo persone e se non comprendiamo noi stessi, se non siamo noi il primo oggetto della nostra indagine non abbiamo poi un termine di confronto, una base di appoggio, per l'analisi dell'altro. Ma questa risposta proprio non m'è piaciuta, sarà che ha risvolti onanistico-solipsisti, sarà che chiude qualunque possibilità e non ammette falsificazione, ma proprio non m'è piaciuta. E allora c'ho pensato un altro po'.
E sono tornato a Lorenz: "lo spirito umano è un fenomeno collettivo", ok, bene. Cos'è che ci rende collettivi. Sono le nostre interconnessioni. Ok, ma quelle le "costruiamo" noi, sono un nostro parto, quindi in qualche modo dovrebbero essere più semplici di noi, quindi quelle possiamo tentare di capirle.
E questa cosa mi è piaciuta, comprendere quello che sono cercando di capire come mi rapporto con gli altri. Mi è piaciuta anche perché è in qualche modo incompleta la conoscenza che posso acquisire così, nel senso che per quante connessioni io possa trovarmi a guardare, anche sommandole tutte ci sarà sempre qualcosa che manca rispetto al mio "tutto", perché dentro di me ci sarà sempre qualcosa di talmente complesso da essere per me inconcepibile, o meglio, incomprensibile. Perché la mia conocenza tenderà, mediamente, ad avvicinarsi ad una sorta di "verità" ma non potrà mai raggiungerla, e in questo modo potrà continuamente subire modificazioni.
E allora le parole, che sono il nostro primo strumento di "connessione", acquisiscono un'importanza che va ben al di là dell'essere un semplice strumento. Forse noi siamo "fatti" di parole. A proposito, un altro, che mi sta un po' antipatico ma che ogni tanto una giusta la dice, ha scritto una volta che una storia diventa tua quando la racconti a qualcuno, che una storia diventa vera quando la racconti a qualcuno. A proposito, Lorenz si è occupato anche di linguaggio oltre che di paperelle, a 'sto punto non credo sia un caso. Ma questa è un'altra storia... stavo parlando di "connessioni", e se siamo fatti di connessioni, dicevo, se siamo perché ci sono altri che ci circondano, se qualcuno strappa via uno dei nostri legami, deve rimanere una ferita. La ferita stessa è un legame. La cicatrice che ci rimane addosso è un legame, e uno dei più forti a volte, perché lì siamo scoperti, perché da lì forse possiamo intravedere quello che c'è dentro. Parliamo di quello che ci ha fatto male perché intravediamo la possibilità di capire qualcosa in più. Perché è un legame talmente forte che ci rende più umani, umani perché legati a qualcuno così profondamente.
Non so le paperelle cosa ci trovassero, ma, per quello che mi riguarda, io Lorenz l'avrei seguito, quantomeno per farci due chiacchiere.