Lui racconta storie per vivere. Oddio, all'inizio non era vivere, assomigliava più a tirare avanti, cercando di non farsi prendere in pieno dalle porte che gli venivano sbattute in faccia e non dicendo mai di no, con i pugni stretti nelle tasche e le idee e l'orgoglio confinati nell'ultimo cassetto del cervello.
Poi ad un certo punto la gente, il "pubblico", ha iniziato a dirgli bravo, a riempire i sui teatri, a fare addirittura la fila, e non per uscire come direbbe Woody Allen, ma per ascoltare le sue storie, per ascoltare lui.
All'inizio ha dovuto un po' vendersi, è stata dura, ma in fondo si è convinto che non c'è niente di male, perché sotto qualunque costume, alla fine, sempre, riuscivi a vederlo, lui, raccontare la sua storia.
A lui piace farlo ridere il "pubblico".
Non è difficile essere ridicoli, ma far ridere sì, perché la gente, il "pubblico", è pigro e per ridere servono molti più muscoli che non per piangere, questo lui lo sa, perché lo ha letto sul giornale.
Poi stasera erano tutti lì, pronti a ridere fino a sentirsi male, lui è salito sul palco, armato della sua voce, di una tuba, di un frac e delle sue mani, ed ha iniziato a raccontare.
Tra tutti quegli occhi stupiti qualcuno avrà anche intravisto l'emozione e il tremito delle sue mani, stasera così bianche sotto i riflettori.
No, questo da lui certo non se l'aspettavano. Qualcuno certo non ha capito, e fino alla fine ha pensato ad uno scherzo ben costruito.
Una storia strana, un po' surreale, una di quelle dove niente è quello che dice di essere.
Alla fine lo hanno applaudito, forse per noia, per abitudine o forse perché aveva finito. Ma a lui, stasera, piace pensare di essere riuscito a fare una cosa ancora più difficle che farla ridere la gente, a lui piace pensare che, stasera, il pubblico l'ha fatto pensare.