Che peccato.
Avrei potuto, avrei voluto raccontarti le mie storie, vere fino a quando.
Di una città, delle sue strade, dei suoi strani personaggi.
Di un viaggio ubriaco di ritorno e di una visiera appannata, con la pioggia e il casco aperto per vedere e per vedersi, fino ad una tenda, fradicia di pioggia come tutto il resto.
Di svegliarsi tre ore dopo, ribaltati, inventadosi il bisogno di essere, tre ore e quattrocento chilometri da lì, senza un soldo ma sul Mar Baltico, per una foto e per mettere le mani ancora più a nord.
Di una linea sulla terra con su scritto 'muro' e della vertigine di farci un passo attraverso, di un campo di concentramento, del silenzio, del brivido gelido, delle lacrime.
Di una sfavillante piazza fatta di vetro e di bianco, di un limite fissato sempre più in là, e dei pezzi di un muro di cemento, piantati, lì.
Antichi e modernisti.
Un peccato non averti detto una cosa così.